Se è tutto urgente, nulla è urgente. Se è tutto shock, nulla è choc (*). Se qualcosa è incredibile, allora non ci credo. Se è successo, allora non è né incredibile né impossibile. Se piove non è un uragano. Se è un’eccezione, non è la regola.
Dovrebbe iniziare così, qualsiasi elogio del pensiero normale. Ma anche qualsiasi pensiero critico sulla comunicazione online in Italia oggi (di questo mi occupo. Per l’estero c’è tempo. Ma non è un caso che l’immagine di apertura di questo pezzo sia il gigantesco OMG – Oh, my God – umano che campeggia in bella vista sulla pagina Facebook di Buzzfeed).
Il fatto è che, ve ne sarete accorti senza troppa difficoltà guardando il feed del vostro Facebook, per dire, è tutta una caccia al click. Il social media management, per molti, si è ridotto a questo (e questi molti, la scuola estera che ha già cambiato ampiamente direzione, fanno solo finta di studiarla).
Ed ecco, quindi, che arrivano le notizie, gli annunci, le frasi, le dichirazioni “shock” (o “choc”), appunto.
E ancora, i video che commuovono (o “fanno impazzire” o “sconvolgono”, scegliete voi un verbo che indica qualcosa di iper-eclatante e che contiene al suo interno, non esplicitati, superlativi e punti esclamativi) la Rete (la personalizzazione del web è fondamentale, ovvio).
E poi le liste, le 10 cose che… (anche questo copiato dall’estero, e introiettato malamente), le gallery, i meme (quelli imposti, mica quelli veramente virali, ché generar viralità è un’arte tanto difficile quanto casuale), tutte le più becere strategie acchiappa-click.
Non basta: ci troviamo immersi in un flusso informativo dove si arriva, senza problemi, a inventare – o quantomeno a non verificare – le notizie. Di esempi che ne sono a bizzeffe. Dalla famosa bufala del costo della corruzione in Italia da 60 miliardi di euro (finita addirittura in un rapporto dell’Unione Europea) all’ordine (mai trovato) di infibulare tutte le donne islamiche. La pratica è ormai diffusissima. E se anche le agenzie battono notizie non verificate, il lavoro del giornalista, sempre meno pagato, è sempre più difficile, se non vuole soccombere e se vuole provare a fare comunque informazione etica.
Non è tanto diversa, questa deriva, dalla decretazione di stati d’emergenza per governare a colpi di decreto. Anzi, probabilmente è figlia della medesima logica.
D’altro canto, la reazione che si ha – e che, auspicabilmente, si avrà sempre di più – rispetto alle notizie “shock”-secondo-i-social-manager o secondo i desk dei quotidiani online sarà quella di non cliccare.
Pensateci bene: se un lettore si aspetta di trovare una certa notizia, magari trattata in un certo modo, e la sua aspettativa viene frustrata una, due, dieci, cento volte, poi quel lettore non cliccherà più. Se non glie ne frega niente, di quel che trova, non cliccherà più.
E in un mondo in cui il valore di una pagina web – una volta che tutti i trucchetti per gonfiarne gli accessi ridurranno in cenere la metrica delle pagine viste – sarà sempre di più il tipo di condivisioni, interazioni, interesse che genera, il tempo di permanenza di reali esseri umani sulla medesima (la community, insomma), be’, è chiaro che questa strategia acchiappaclick, che paga sul breve periodo è destinata, nel medio, a divenire fallimentare.
E allora, poi, si dovrà andare a recuperare il lettore, la sua fiducia, la sua voglia di approfondire. Perché prima o poi il lettore farà lo sciopero del click. Magari nemmeno in maniera consapevole: semplicemente, smetterà di cliccare a furia di esser deluso.
Questo vuol essere un elogio del pensiero normale (non solo “critico”, proprio “normale”). Chi fa comunicazione ha il dovere di ridimensionare il proprio uso della lingua, perché quel che si vede ora in Italia va bene per un tipo di comunicazione veloce e inaffidabile, è adattissimo per una sveltina su una pagina web. Non funziona per costruire un rapporto duraturo.
Prima o poi – visto che con certe aree del settore non conta nemmeno parlare dell’utente finale, il lettore, ma conta solo parlare degli inserzionisti – anche agli inserzionisti interesseranno i rapporti duraturi.
Non solo. Normalizzare i titoli, eliminare i superlativi, il caps lock, l’enfasi, servirà anche a generare un virtuoso modello di slow-news, che si contrapporrà inevitabilmente alle junk-news. E che, a lungo termine, non potrà che essere vincente.
(*) Shock (inglese) oppure choc (francese): sono entrambe grafie corrette. Da evitarsi, come suggerisce la Treccani, altre amenità, tipo scioc, shoc o chock. Se proprio si deve usare il termine per generar derivati, è preferibile l’italiano: scioccare, scioccante, scioccato, ed evitare shockante, choccante o aberrazioni analoghe. Ma potete anche farne a meno del tutto, credetemi.
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