Il click baiting garantisce senz’altro importanti volumi di traffico con uno sforzo relativamente minimo.
Che cos’è il click baiting? Lo spiega bene Andrea Coccia su Linkiesta. E’ una tecnica acchiappaclick. Andrea individua anche una piacevole schematizzazione delle varie notizie (o simili) acchiappaclick che si possono produrre, con un quadro semiotico al quale manca solamente una cosa: la tecnica del condividere le notizie serie, normali, scritte anche per i lettori diretti, in modo furbetto, ammiccante (o peggio). In modo che richiamino il click perché manca qualcosa di fondamentale.
Lo fanno tutti? Sì, lo fanno tutti, chi più chi meno, chi in maniera più elegante chi in maniera rudimentale (tipo lo shock, per capirci). Chi è senza peccato scagli la prima pietra.
E’ un modo come un altro per fare traffico e per soddisfare una metrica, quella delle pagine viste (o almeno delle visite) che dovrebbe rendere sostenibile un progetto editoriale che si basa anche sui social come vettore di traffico (oggi pressoché fondamentale). Ma che traffico genera? Qual è il tempo di permanenza sulla pagina di un lettore acchiappato in questo modo? Quanto tempo resterà a leggere? Quale sarà la sua profondità di navigazione? Andrà oltre il primo click? E poi, tornerà?
Oggi uno dei redattori di Blogo mi diceva di aver visto su una notizia condivisa su Facebook (niente link, non importa) il commento: Click baiting = defollow.
Traduciamo? L’utente, informaticamente alfabetizzato, comunicava a chi di dovere (il social media manager che aveva effettuato la condivisione su Facebook) che aveva individuato la tecnica e che la cosa gli era risultata talmente sgradevole da decidere di smettere di seguire quella pagina.
Click baiting = defollow è la minaccia più grande per chi continua e continuerà a utilizzare questa metodologia. Perché se c’è una cosa che fa paura a chi ha bisogno che i propri contenuti circolino sui social network, è proprio la possibilità di perdere utenti. Prima o poi toccherà correre ai ripari. Prima o poi. Perché è chiaro che nel breve, forse anche nel medio periodo condividere quelli che per Repubblica.it (per esempio) sono i “temi caldi”, fa crescere il numero dei fan, dei follower, di quel che vi pare.
Ma sul lungo periodo, che follower saranno? Saranno fedeli? O si stancheranno presto? E non è che ad un certo punto succederà che la somma algebrica di quelli che mettono “like” e di quelli che lo tolgono avrà un segno negativo? O ancora, non è che – Facebook, per esempio, lo consente – renderanno semplicemente invisibili nel loro feed di notizie i publisher troppo sfacciati?
E i contenuti, che valore avranno?
«Il risultato è che l’offerta di contenuti identici si moltiplica»
scrive Andrea. Vero. Si diventa tutti fotocopie l’uno dell’altro. E il punto di vista si appiattisce (del resto, che razza di punto di vista vuoi avere, se scrivi un pezzo sulle zeppe di Kate Middleton?) non soltanto nella scelta degli argomenti, ma anche nella trattazione di quelli che, se fai informazione sul web, devi trattare per forza.
Restano tre questioni, in sintesi. La prima: l’editoria online deve fare i conti con se stessa e ciascuno deve capire che tipo di lettori vuole avere. Il senso è: se ti stanno bene dei lettori da una botta e via che commentano «Tutti a casaaaaa!!!1!», vai pure avanti col click baiting. Se invece vuoi qualcosa di più, allora occhio: mantieni quel che prometti col click, stuzzica il lettore con un contenuto che sa di interessante, non di patata di Laura Pausini (che poi, anche qui: se sei Gossipblog, puoi parlarne eccome, di Laura Pausini e della patata in vista. Che altro dovresti fare? Anzi: se sei Gossipblog, pretendo che ne parli. Ci mancherebbe altro: non parlarne sarebbe bucare una notizia. Perché si presuppone che il target di Gossipblog sia quello di persone interessate a quel tipo di argomenti lì. E allora magari scopri che non hai bisogno di fare click baiting: stai solo parlando al tuo target. Wow, che scoperta! Diverso è se sei Corriere.it o se vuoi darti un’immagine pulita. E quindi, se pensi di non poter fare a meno di quel traffico lì, renditi conto di una cosa: che Gossipblog è verticale, e che se sei verticale e hai le verticalità puoi gestirtele come ti pare. Ne parlerò più in là, un’altra volta).
La seconda: finché gli investitori penseranno che la metrica delle pagine viste funzioni, finché gli editori crederanno alla leggenda che si possa crescere con esplosioni continue, il mestiere della produzione di contenuti (non uso volutamente la parola “giornalismo”) online è destinato a scendere a compromessi enormi.
La terza: il lettore avrebbe il potere. Un potere che si chiama click baiting = defollow.
Ora, lo so che mi si dirà: non succede, la massa non lo fa, la massa mette i like e piuttosto ti insulta ma clicca. D’accordo, non succede, non in massa, non adesso. Ma sarebbe meglio, molto meglio, estremamente saggio prevenire, invece di preoccuparsi dopo che la strategia di breve periodo avrà cominciato a dare risultati negativi o meno soddisfacenti del previsto. Chissà: magari domani ci si accorgerà che avere lettori fedeli, targettizzati (anche di nicchia), che passano molto tempo su i propri siti (in altre parole: community) è meglio, molto meglio di quel che oggi sembra un successo di traffico.
Anche perché viene da chiedersi: siamo proprio sicuri che la massa che mette i like e insulta e clicca e sbrodola, poi si trasforma in consumatore?
Faccio un esempio brevissimo dell’esatto contrario, che mi riguarda direttamente, e poi chiudo. Scanalando sul satellite, scopro in maniera del tutto casuale un canale tematico per genitori di bambini (si chiama Easy Baby). Essendo diventato padre da poco (e occupandomi per lavoro di televisione e media e comunicazione), lo guardo, a lungo e in vari momenti della giornata. I programmi di Easy Baby (che non ha alcun rapporto col sottoscritto, se non il rapporto che c’è fra un telespettatore e un canale televisivo, diciamolo a scanso di equivoci) sono molto targettizzati. Allo stesso modo è fortemente targettizzata la pubblicità. Grazie a uno spot (a dire il vero, dopo averne visti un bel po’), scopro l’esistenza di una marca che fa prodotti per neonati. I prodotti mi sembrano interessanti. Cerco la marca online, leggo quel che dicono altri utenti e mi convinco a provare con mia moglie. E divento cliente. Ecco, voi direte: sì ma tu sei del mestiere. E io dirò: no, sono anch’io un consumatore che ha delle necessità. Scommettiamo che valgo di più per l’inserzionista, di uno che lika, clicca, insulta e cambia canale?
Ah, poi c’è anche l’eventualità che si voglia avere entrambe le cose: i lettori mordi e fuggi e quelli fedeli. In questo caso, c’è la verticalità, appunto, per differenziare l’offerta. Ma non è questa la sede.
In conclusione: l’equilibrio teorico dei poteri (lettore, investitori, editori) potrebbe portare a un circolo virtuoso. Basterebbe volerlo.
[Da leggere:* Fenomenologia del click baiting
* Aumenta il traffico da Facebook con tecniche becere: il click-baiting
* Viral content is going to be a terrible business model
* OMG, BuzzFeed Is Investing In Serious News Coverage! Is It FTW?
* The dirty secrets of clickbait. This post will blow your mind!]
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