Non so voi, ma io non clicco più.
Non ci credo più, non ci casco più, ho perso la voglia di regalare i miei click e il mio tempo da lettore a chiunque pensi di poterli ottenere così.
In fondo non è molto diverso da quando mi auguravo che si facesse seguire il click baiting a un’azione sistematica di defollow, probabilmente.
Ma nell’esempio qui sopra stiamo parlando del più importante sito fra tutte le testate giornalistiche italiane online (Repubblica.it) che inserisce quell’immagine in una delle colonne della home page per invitare al click su un sito del gruppo (l’Huffington Post Italia), il quale ci apre a piena pagina, con quel titolo. È evidente che si sia passato il segno.
Se apro il New York Times o il Guardian non trovo niente del genere (ho appena verificato, ovviamente).
E allora, bisogna dirlo: io non clicco più, non guardo più i video. Anche perchè nella maggior parte dei casi non sono i video che mi aspetto di vedere: nel caso specifico, per dire, vi risparmio lo sforzo, non c’è nemmeno il video ma soltanto la sua descrizione.
Il che, ne converrete, è un triplo salto carpiato nel magico mondo del click baiting.
Fa il paio con questo titolo di qualche giorno fa. Il video di cui si parla mostrava semplicemente la jeep dello sparatore parcheggiata, dopo i fatti.
Ci sono cascato più volte. Ora non regalo più il mio ruolo da lettore che consente a terzi di fare qualche centesimo di euro in più (perché poi è di questo che stiamo parlando: noccioline, che sommate tutte assieme fanno una massa appetibile di noccioline) e voglio rivendicare il mio diritto di scegliere.
Sarà soltanto una posizione senza speranza da addetto ai lavori? Può anche darsi. Ma va dichiarata, perché da qualche parte bisogna pur cominciare.
Questo non significa che non si possano dare certe notizie, non mi si fraintenda. Ma c’è modo e modo.
Il modo qui sopra è quello che mi fa dire: io non clicco.
Aggiornamento delle ore 23.31 – in questo momento, in Italia, la notizia è pubblicata su
Sole24Ore
Huffington Post
Corriere della Sera
Repubblica
Il fatto quotidiano
Ansa
Il Messaggero
Il Mattino
e via dicendo.
Tutti parlano di un video che nessuno ha visto, tutti si basano solo ed esclusiamente sul pezzo di Paris Match, che avrebbe ottenuto questo video insieme ai tedeschi della Bild in maniera non meglio precisata.
Intanto, però, la CNN ha pubblicato le dichiarazioni del Luogotenente Jean-Mar Menichini: il video non esisterebbe.
Sul sito della CNN si legge che il portavoce della gendarmeria francese, responsabile della comunicazione nel caso Germanwings, ha detto che sono stati raccolti tutti i telefoni rinvenuti, e che verranno inviati al Criminal Research Institute di Rosny sous Bois, vicino Parigi, per essere analizzati. Alla domanda se sia possibile che sia stata trafugata una memory card per passarla ai media, Menichini ha risposto categoricamente: «no».
Quale che sia la versione reale dei fatti, è chiaro che la stampa italiana ha, a maggior ragione, un grosso problema. Nessuno dei pezzi, al momento, riporta la versione della CNN.
Aggiornamento delle ore 1.12 – Come spesso accade in questi frangenti, ora la questione viene definita “un giallo”. Ecco due Tweet successivi tratti dal profilo ufficiale del Corriere.it per capirci.
Il primo dà per certa l’esistenza del video (e lascia intendere di poterlo vedere).
Airbus, gli ultimi istanti nel video di un passeggero Urla a bordo: «Mio Dio!» video
http://t.co/BPmHKr0agP pic.twitter.com/itRsL8lbVh
— Corriere della Sera (@Corriereit) 31 Marzo 2015
Il secondo dice che “è giallo” (ma lascia sempre intendere che in qualche modo questo video si possa già vedere).
Airbus, è giallo su un video girato col telefonino Urla a bordo: “Mio Dio!” video
http://t.co/BPmHKr0agP pic.twitter.com/PIs7BLZffy
— Corriere della Sera (@Corriereit) 31 Marzo 2015
Aggiornamento 1-4-2015, ore 8.30 – Ho fatto un veloce giro di ricognizione sulle homepage dei siti di informazione italiani, non ho trovato granché (il Corriere riporta sommariamente che le autorità francesi smentiscono), quindi sono tornato sulla CNN. Che cita Julian Reichelt: lo hanno contattato e il direttore di Bild si dice certo che il video sia autentico. A Erin Burnett: Outfront, ha dichiarato di aver visto il video e ha aggiunto le sue considerazioni in merito (circa le autorità che stanno facendo le verifiche e le indagini).
Ci tengo a precisare una cosa: in questo spazio non mi interessa capire se il video esista o meno. Mi interessa analizzare il giornalismo alle prese con una questione come questa. Perché secondo me c’è, evidentemente, un problema. E bisogna capirlo, prima di risolverlo. Per questo motivo, per tutti gli sviluppi in merito vi rimando al pezzo principale sull’argomento che abbiamo pubblicato su Blogo.
Qui, invece, continuo il ragionamento sul valore del click e sul ruolo del giornalista e sul suo rapporto con il lettore. Un rapporto che, oltre al mio lavoro su Blogo, quotidiano e faticoso come quello di tutta la redazione, dato il carattere generalista della testata (sebbene divisa, fortunatamente, in verticalità tematiche) e ai miei spazi sociali, provo a creare, con alcuni colleghi, in un progetto di giornalismo “slow” che si chiama Slow News.
Perché ne parlo qui? Per due motivi. Primo: un po’ di pubblicità.
Secondo: il tema di Slow News è estremamente pertinente. Perché la promessa che facciamo ai nostri lettori è l’opposto di “Io non clicco”. Promettiamo di proporre loro contenuti sui quali avranno voglia di cliccare.
Messa così, sembra che si tratti “solo” di fiducia. Invece, dico io, si tratta “soprattutto” di fiducia. È la fiducia, da costruire nel tempo e con la serietà, il vero valore aggiunto che caratterizza il rapporto fra un giornalista, una testata (o un progetto) e i suoi lettori.
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