Millennials è una buzzword.
Del resto, anche buzzword è una buzzword.
Se vogliamo dirlo in altre parole, millennial (in italiano il plorale perde la “s”) è una parola di moda. Lo dimostrano anche i panel ad essi dedicati all’International Journalism Festival (Media-making millennials: #werunthis, Mobile e millennial: chat apps, emoji, nuovi format video, Giovani, laureati e disoccupati: come la disoccupazione giovanile in Europa sta cambiando i Millennial, La caccia ai Millennial: cosa sta funzionando?) e le numerose ricerche che escono in merito.
Perché la generazione millennials (diversamente da quanto si potrebbe pensare, identificata con i nati fra il 1982 e i primi anni del 2000) è così di moda, soprattutto fra giornalisti e addetti ai lavori dell’editoria online? Perché sono il “nuovo pubblico” cui rivolgersi, quello da acchiappare.
E, sì, anche solo scriverne così, capirete bene, è già un passo sulla via dello sconforto e fa capire perché sia solo una buzzword.
Orientarsi ad acchiappare i millennials è di nuovo l’errore di massificazione che stigmatizzava, proprio qui all’International Journalism Festival, Jeff Jarvis – fra grandi applausi – in una partecipata e riuscitissima conferenza, ed è nuovamente una dichiarazione di guerra alla nicchia. Oltre a essere la dimostrazione che la lezione della specializzazione e del fare meglio degli altri almeno una cosa, del dedicarsi all’ascolto delle comunità cui ci si riferisce per offrire loro un prodotto che è prima di tutto un servizio, non verrà capita.
All'#IJF15 @jeffjarvis dice un sacco di cose condivisibili, che tutti i colleghi applaudiranno e che domani nessuno applicherà.
— Alberto Puliafito (@albertopi) 18 Aprile 2015
I millennials sono una macrocategoria. L’unico modo per non trattare questa macrocategoria come l’ennesima parola di moda che sentirete ripetere alla nausea nelle prossime riunioni aziendali da qualche espertone di marketing è studiare attentamente le relazioni corpose che ne illustrano il comportamento sul web, con le app, con gli smartphone e che spiegano – certo, in maniera generalista – come si approcciano al mondo delle notizie e della comunicazione.
I'm optimistic, but what I see in Italy is a lot of lovely cats and you-cant-believe-it-videos @ManuKron @jeffjarvis pic.twitter.com/jasAVpTItl
— Alberto Puliafito (@albertopi) 18 Aprile 2015
Si scoprirà, per esempio, che usano le mail (e quindi è una buona idea fare newsletter. Ecco perché abbiamo fatto Slow News). Si scoprirà che, sì, usano i social network ma come? Scrollando il feed. Poi per approfondire usano altri metodi (motori di ricerca, fonti di cui si fidano). Si scopriranno un sacco di cose che, tutto sommato, si potrebbero già sapere o intuire, se solo ci si guardasse un po’ intorno con la medesima curiosità del lettore/utente, millennials o meno.
Si scoprirà anche che un sacco di altre buzzword sono già diventate stereotipi. O forse addirittura balle. O forse lo sono sempre stati. O comunque, sono state gonfiate a dismisura senza capirle veramente, e facendo perdere loro il significato che hanno realmente, come tutti i termini che diventano di moda e che poi si svuotano di senso.
Catturare il pubblico dei millennial non significa niente.
[Da leggere (lungo, approfondito, interessante): How Millennials Get News: Inside the habits of America’s first digital generation]
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