Un evento dopo l’altro, una call dopo l’altra, da quando ho iniziato a lavorare come Google News Lab Teaching Fellow (agosto 2021), contando tutte le presenze alle sessioni di formazione, abbiamo superato le 2200 unità.
Ci sono state settimane in cui ho fatto anche 6 corsi, fra i più disparati: ho incontrato freelance e studenti, associazioni come ANSO, ho fatto corsi per il programma di formazione continua dell’Ordine dei Giornalisti, per redazioni piccolissime, iperlocali, innovative e per redazioni grandi e storiche. Ogni volta ho cercato di portare un pezzetto di quel che so dell’ecosistema digitale, di quello che ho imparato dalle persone che lavorano alla Google News Initiative, degli strumenti che abbiamo a disposizione per fare meglio il nostro lavoro come giornalisti.
Nei prossimi mesi farò anche almeno altri 4 incontri aperti ai freelance: qui trovi il calendario e puoi iscriverti. Oppure puoi scrivermi a puliafito@google.com.
Se vuoi sapere cos’ho imparato in questo percorso, che proseguirà fino a luglio, continua a leggere.
1) La redazione del Papersera aveva già previsto tutto
C’è una storia uscita per la prima volta su un Topolino in Brasile, nel 1977. Editore-direttore del Papersera, Zio Paperone prende un robot per fare il reporter. I suoi giornalisti, Paperino e Paperoga, reagiscono in due modi opposti: Paperoga è felice perché pensa che la macchina lo sostituirà, lavorando per lui. Paperino è disperato perché pensa che la macchina lo sostituirà facendogli perdere il lavoro.
Imparare a usare gli strumenti, la tecnologia, ci aiuta a seguire la via di mezzo: la tecnologia come strumento abilitante, che aumenta le nostre possibilità di lavorare bene come giornalisti e di servire al meglio le persone che hanno bisogno del giornalismo.
2) C’è tanta voglia di conoscere
Viviamo nell’era dell’apprendimento continuo. Chi pensa che il giornalismo sia in un periodo di stanca, dovrebbe vedere con quanto entusiasmo giornaliste e giornalisti di tutte le età sperimentano e imparano strumenti nuovi. Gruppi di freelance si sono addirittura auto-organizzati per chiedere corsi e approfondimenti in momenti specifici: questa, forse, è la lezione più entusiasmante.
3) Gli strumenti si evolvono
Avevo preparato un bel caso di studio su una mia foto che ritenevo impossibile da geolocalizzare rapidamente: un posto anonimo, con un palazzone come ce ne sono tanti. Niente metadati. La ricerca inversa per immagini non restituiva nulla di interessante. Ci voleva una combinazione tra il metodo, la capacità di far ricerca avanzata sui motori, di estrarre dati e poi un buon colpo d’occhio o, in alternativa, tanta pazienza. Era una bella sfida. Poi, ad un certo punto, un collega, durante un corso, mi fa: «Molto interessante. Ma tutto questo giro ce l’hai fatto fare per formarci un metodo?»
Io gli ho detto: «Be’, sì, certo. Ma perché me lo chiedi?»
E lui mi ha risposto, spiazzandomi: «Perché ho inquadrato il monitor del computer con il mio smartphone e Google Lens ha riconosciuto che quel palazzo è un albergo».
Quando avevo preparato il caso di studio, non lo riconosceva.
È una grande lezione: gli strumenti che conosciamo si evolvono con l’evoluzione della tecnologia e delle persone che ci lavorano.
4) Ascoltare è meglio di fare monologhi
Tutte le volte che posso – soprattutto nei corsi lunghi – cerco di far aprire i microfoni sei siamo in call o di far parlare le persone dal vivo
Chiedo esplicitamente: «Di cosa avresti bisogno per lavorare meglio?», «Quali strumenti ti piacerebbe esistessero?», «Quali compiti del tuo lavoro si ripetono meccanicamente? Cosa potresti affidare, almeno in parte a una macchina?». Le risposte sono preziosissime. Si scoprono bisogni reali, concreti, problemi da risolvere: così le lezioni non sono astratte ma risuonano per chi le segue e offrono davvero soluzioni.
5) Ammettere di non sapere ci aiuta a trovare quel che ci serve
Qualche volta ci possiamo anche permettere di non sapere le risposte. Quando non le so, cerco online o mi confronto con le altre persone che fanno parte del Google News Lab. Applicando le stesse cose che cerco di insegnare quando racconto gli operatori di ricerca avanzata sui motori di ricerca. Meglio ammettere di non sapere che far finta di avere sempre tutto controllo: così si può raccontare il metodo. Che è un po’ quel che diceva Umberto Eco quando ricordava che costruire cultura non significa sapere tutto (è impossibile!), ma significa, invece sapere dove trovare quel che ti serve.
6) Il metodo conta
Tutto comincia dalla ricerca, prosegue con la verifica, atterra con la pubblicazione. E poi si ricomincia da capo. Parliamo di strumenti, tantissimo. Ma alla base degli strumenti ci sono la media literacy e la comprensione delle tecnologie. E poi c’è il metodo giornalistico. E il metodo parte, sempre e comunque, dalla ricerca di storie, di fonti, di dati, di fotografie: una ricerca che oggi possiamo fare anche con i motori di ricerca, con possibilità impensabili fino a pochi anni fa. Poi analizzeremo, verificheremo, sottoporremo a perizia. Poi racconteremo una storia a partire da quel che abbiamo trovato. E infine pubblicheremo.
Ma quella storia si evolverà, susciterà interessi, richiederà interazioni con le persone. Ed ecco che il metodo diventa iterazione.
7) Le persone hanno anche i piedi!
La maggior parte dei miei incontri formativi li ho fatti in remoto. Qualche volta sono riuscito a farli in presenza e a ricordarmi che non viviamo in uno schermetto, che non siamo solamente un mezzo busto. Senza le videoconferenze non avrei mai potuto raggiungere così tante persone, e in questo la tecnologia ha effettivamente aumentato le mie possibilità e le possibilità di chi, magari, non avrebbe mai trovato il tempo di formarsi dovendo anche viaggiare.D’altra parte, la relazionalità della presenza fisica ha altri tipi di vantaggi: è importante trovare il giusto equilibrio tra le due parti, trovare il modo di esserci, sia online sia in presenza.
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Seven things I’ve learned by training more than 2,000 journalists with the Google News Lab
One event after another, one call after another, since I started working as a Google News Lab Teaching Fellow (August 2021), counting all the appearances at the training sessions, we exceeded 2,200 units.
I also did six training events a week, among the most disparate: I met both freelancers and journalism students and associations such as ANSO; I provided workshops for the continuous training program of the Ordine dei Giornalisti, for very small, hyper-local, innovative, and for large and historical editorial offices. Each time, I brought a piece of what I know about the digital ecosystem, what I have learned from the people who work at the Google News Initiative, of the tools we have at our disposal to do our job as journalists better.
If you want to know what I learned in this journey, which will continue until July, continue reading.
1) The editorial staff of the Papersera had already foreseen everything
There is a story published for the first time about a Topolino in Brazil in 1977. Uncle Scrooge (Publisher/director of the Papersera) takes a robot to be a reporter. His journalists, Donald Duck and Fethry Duck react in two opposite ways: Fethry is happy because he thinks that the machine will replace him, working for him. Donald is desperate because he thinks the robot will replace him and make him lose his job. There is another possible reaction: Learning how to use the tools. Technology is an enabling tool. It increases our chances of working as journalists most effectively. It allows us to provide the people with the journalism they need.
2) There is a great desire to know
We live in the age of lifelong learning. Anyone who thinks journalism is in a period of weariness and weakness should see how enthusiastically journalists of all ages experiment and learn new tools. Freelance groups have self-organized to ask for courses and insights at specific times: this is the most exciting lesson.
3) Tools evolve
I had prepared a case study on a photo that I took last Summer. I thought it was practically impossible to quickly geolocate it: an unknown location, with a building like many others. No metadata. A reverse image search returned nothing of interest. It took a combination of the method, the ability to do an advanced search on engines, extract data, and then a good glance or a lot of patience. It was a good challenge. Then, at a certain point, a colleague, during a training event, said: «Very interesting, but… I framed the computer monitor with my smartphone and Google Lens recognized that that building is a hotel. This one». And he spotted out the place.
When I had prepared the case study, Google Lens didn’t recognize it.
It’s a great lesson: the tools we know evolve with the evolution of technology and the people who work on them.
4) Listening is better than doing monologues
Whenever I can, I try to get some open-mic sessions. I explicitly ask: «What would you need to work better?», «What tools would you like to exist?», «Do you have any task mechanically repeated?», «Is there anything you could you entrust, at least in part, to a machine?». The answers are invaluable. We can discover real, concrete needs and problems to be solved: so the lessons are not abstract but resonate with those who follow them and offer solutions.
5) Admitting not knowing helps us find what we need
Sometimes we can even allow ourselves not to know the answers. When I don’t know, I search online or compare myself with other people who are part of the Google News Lab. Applying the same things I try to teach when I talk about advanced search operators. Better to admit you don’t know than to pretend you always have everything in control: this is how you can tell the method. That’s a bit like what Umberto Eco said when he remembered that building culture does not mean knowing everything (it is impossible!), but it means knowing where to find what you need.
6) The method counts
Everything starts with research, continues with verification, and lands with publication. And then we start all over again. We talk about tools. But underpinning the tools are media literacy and understanding of technologies. And finally, there is the journalistic method. It starts, always and in any case, from the search for stories, sources, data, and photographs: a search that today we can also do with search engines, with possibilities unthinkable until a few years ago. We will then analyze, verify, and tell a story starting from what we found. But that story will evolve, it will spark interest, and it will require interactions with people. And here is where the method becomes an iteration.
7) People have feet too!
I have done most of my training sessions remotely. Sometimes I have managed to do them face-to-face and remind myself that we don’t live on a half-length screen. Without video calls, I would never have been able to reach so many people in so many different places in Italy.
Technology has increased my possibilities. And it also freed time for those who would never have found the time to train, if they had to travel.
On the other hand, physical presence has its kinds of advantages.
It is crucial to find the right balance between the two parts, to feel that we are here and now.
Journalism has always been a collective product.
We can take a lot of advantages from technology and remote working, but some live, in-presence moments are priceless.
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