Nella sua vita, mio nonno ha fatto pagamenti dilazionati per una cosa sola: i libri. Finita la quinta elementare, non aveva potuto studiare perché in famiglia funzionava così: o tutti o nessuno. A lavorare. Non c’erano mica soldi, in famiglia. L’unica “ricchezza” era di quelle solide, di quelle che oggi cercano di farti credere che non contano più di quelle che le varie bolle immobiliari hanno distrutto e disincentivato: la casa di famiglia, tirata su come si faceva un tempo. Intanto, in Italia c’era il fascismo e poi ci fu la guerra e lui partì per la Russia. Tornò dalla durissima ritirata, dopo aver giurato che non avrebbe mai più guidato in vita sua. Ha mantenuto la promessa per sessantanove anni e ha continuato a comprare libri e a leggerli. E, da autodidatta, a dare ripetizioni di matematica, geometria e analisi matematica a studenti di licei e università.
In uno dei suoi libri – tutti conservati come reliquie – «Il lungo viaggio attraverso il Fascismo» di Ruggero Zangrandi, Feltrinelli, 427-9/UE, Terza edizione, Universale Economica del settembre 1963, 800 lire, ho trovato questo interno di copertina.
Fa così:
«Caro lettore,
ama la lettura dei grandi scrittori di ieri e di oggi?
preferisce un saggio agile e vivo?
ha bisogno per i Suoi studi o per il Suo lavoro
di una grande enciclopedia
o di altri testi di consultazione?
Quali che siano i Suoi interessi
– la letteratura italiana o le letterature straniere,
la storia, la politica, le scienze,
la filosofia o l’attualità –
se Lei vorrà sfogliare il catalogo alla fine di questo volume
vedrà che l’Universale Economica
Le offre la possibilità di formarsi con poca spesa
una ricca e moderna biblioteca
per le Sue ore di svago e per la Sua cultura».
C’è forse un esempio più calzante di cosa significhi prendersi cura del proprio lettore?
Rapportarsi e rivolgersi a lui/lei (certo, c’è solo il maschile: era il 1963 e sappiamo come vanno certe dinamiche)?
Oggi, sul web, quel lettore, quella lettrice, potrebbero addirittura rispondere. E se dovessero farlo, be’, ci vorrebbe qualcuno pronto a leggere le loro risposte, pronto a instaurare un dialogo, con attenzione e con piacere. Sapendo che quella risposta ha un valore immenso. Nel 1963 il lettore non poteva rispondere, ma c’era qualcuno che pensava a lui lo stesso.
È una lezione da introiettare, come tutte le lezioni che affondano le proprie radici nella solidità della memoria, nella passione, nella cura.
Lettrici e lettori, mi ha detto un giorno un’amica, sono i clienti di un mercato in cui i clienti vengono trattati a pesci in faccia.
Se pensi al modo in cui si sono rapportati ai lettori i giornali – in particolare in Italia, dove la tradizione paternalistica è radicatissima – è proprio così. E l’impreparazione con cui si è affrontata la transizione dall’era industriale all’età dell’informazione ne è stata cartina di tornasole.
Mentre il cambiamento avveniva, l’editoria giornalistica sedeva sulle proprie rendite di posizione, forte di un oligopolio della produzione e della distribuzione di contenuti e relazioni informative.
Quell’oligopolio è finito. E adesso l’unica strada possibile è rinunciare all’illusione di poter ripristinare le rendite di posizione e dedicarsi, invece, a prendersi cura dei propri lettori.
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