Uno dei doveri del giornalista dovrebbe essere quello di combattere le narrazioni tossiche. A proposito di qualunque argomento. Accade? Ma per cominciare, che cos’è una narrazione tossica?
Prendiamo in prestito una definizione dei Wu Ming, che calza a pennello soprattutto per le narrazioni giornalistiche (vedremo più avanti che ce ne sono anche non-giornalistiche).
«Per diventare “narrazione tossica”, una storia deve essere raccontata sempre dallo stesso punto di vista, nello stesso modo e con le stesse parole, omettendo sempre gli stessi dettagli, rimuovendo gli stessi elementi di contesto e complessità».
Basterebbe questo per chiarire la questione e per chiarire anche per quale motivo scardinare il meccanismo dovrebbe interessare al giornalista.
Ci sono una serie di elementi che caratterizzano le narrazioni tossiche. Alcuni vengono perseguiti con dolo, altri per indolenza. Alcuni vengono proposti con consapevolezza, altri perché mancano il tempo o le risorse per fare diversamente.
È chiaro che non riguardino solamente il giornalismo, ma anche altri ambiti della vita (la promozione di prodotto, il mondo del lavoro, la politica: tutto ciò che può essere soggetto a “narrazioni” e che può avere un “pubblico di riferimento” può ricadere nella trappola della narrazione tossica). Ma è proprio in questo mestiere, e a maggior ragione con le profonde modifiche che ha subito da quando esiste il giornalismo online, che si devono far nascere gli anticorpi contro il progressivo appiattimento dei punti di vista e contro le storie che necessitano di punti di vista terzi.
Ora, quali sono i punti di forza di qualsiasi narrazione tossica? Quali le tecniche utilizzate?
Narrazioni tossiche: semplificare
Indice dei contenuti
La semplificazione è uno degli elementi caratteristici di una narrazione tossica. Si prende una storia, la si decontestualizza, si semplifica in modo che possa essere facilmente comprensibile a tutti, la si riassume, possibilmente la si diffonde con qualche espressione che possa essere ripetuta.
La semplificazione trova la sua manifestazione più estrema nella comunicazione in 140 caratteri e nell’uso degli hashtag.
Narrazioni tossiche: non verificare
Chi dovrebbe verificare? Naturalmente, il giornalista per dovere deontologico. Non si può pretendere che sia sempre il lettore (o spettatore o utente) a farlo.
Viene fatto? O ci si fida? L’ecosistema giornalistico oggi consente i tempi necessari per la verifica? Se un’agenzia batte una notizia con un certo titolo, cosa fa il giornalista sul web che deve, per esempio, riportare la medesima? E commentarla? Aspetta che ne esca un’altra? E mentre sta lavorando da casa o dalla sua postazione, come può verificare? Ecco. Questo è un caso in cui molto spesso la “colpa” diventa contingenza. Ma non può comunque essere una giustificazione.
Del resto, è di interesse di chi veicola narrazioni tossiche che quel che dice non possa essere verificato.
Per esempio: chi lo dice, che l’Acropoli di Atene in questi giorni è deserta? (Mentre scrivo queste prime righe è il 2 luglio 2015) Chi lo dice che ci sono le code ai bancomat? È verificato? È vero? O è verosimile?
L’asticella della notiziabilità si è abbassata, ed è arrivata a lambire la verosimiglianza, in alcuni casi addirittura a scendere ancora più in basso.
Narrazioni tossiche: manipolare
La cosa più semplice da manipolare sono i numeri. Questa affermazione potrà anche sembrare strana a qualcuno. I numeri sono dati, come si possono manipolare? Molto semplice. Si possono decontestualizzare, si possono utilizzare parzialmente, si possono dare senza parametri di confronto, si possono addirittura inventare.
La statistica è perfetta per questo scopo. E infatti il testo di statistica più letto al mondo negli ultimi 50 anni è How to lie with statistics. In verità, è un utile prontuario per accorgerci se qualcuno utilizza i numeri allo scopo di prenderci in giro. A proposito, se avete creduto alla frase “il testo di statistica più letto al mondo negli ultimi 50 anni è How to lie with statistics”, be’, siete appena incappati in un piccolo esempio di narrazione tossica.
Sembra una frase credibile, sembra autorevole, non lascia spazio a dubbi. Ma non propone alcuna fonte. Eppure, potrebbe anche essere vera.
Sparare numeri (anche a caso), spararne tanti, utilizzarli per confondere le acque, rendere non verificabile quel che si dice se non a prezzo di molto tempo da perdere, insomma, come si dice a Roma, buttarla in caciara.
Vale per moltissimi ambiti. Ecco, per esempio, come si modificano i numeri in politica, per esempio. O, per fare, invece, un esempio in positivo, virtuoso, di uso dei dati numerici, ecco come si dovrebbe raccontare un’elezione in cui ha votato un numero davvero esiguo di persone.
Narrazioni tossiche: mentire
Quasi inutile a dirsi, ma la menzogna è una componente fondamentale di una narrazione tossica consapevole. È evidente che la menzogna comporti un comportamento doloso.
E che sia prevalente, in forma più edulcorata, sottile, sfumata – ma non meno dannosa – in tutto ciò che è comunicazione (ad esempio, di prodotto. Ma anche di altro. Di idee politiche, per esempio. O di storie in generale che conviene raccontare in un certo modo).
Narrazioni tossiche: perseverare
Altra regola fondamentale per la narrazione tossica è la perseveranza. È necessario continuare a ribadire il medesimo, semplice concetto, senza timore che diventi ridondante o ripetitivo, perché si conficchi bene nel cervello di chi riceve questo tipo di comunicazione.
Non è esattamente un concetto nuovo, ecco.
Narrazioni tossiche: esempi
Qualche esempio di racconto fatto dal medesimo punto di vista? La protesta No Tav. La storia dei marò. La storia dell’euro. La questione della crisi greca. Qualsiasi fenomeno virale non verificabile ma verosimile.
Si potrà obiettare che su certi argomenti – quasi tutti in verità – esistano anche le contro-narrazioni. E una delle problematiche da affrontare è proprio l’ossessione per la contro-narrazione, che poi rischia di sfociare in complottismo o gentismo. Tuttavia, le storie citate qui sopra – incluse le viralità non verificate quando diventano “curiosità” per una grande testata giornalistica che magari le inserisce nella sua colonnina di destra in homepage – hanno in comune l’evidenza di essere narrate secondo un unico punto di vista dai mezzi di comunicazione tradizionali, dalla maggior parte delle testate giornalistiche, da chi raggiunge il pubblico più ampio.
Narrazioni tossiche: la conversazione
Ho condiviso questo pezzo sul mio canale sociale più “frequentato” (Facebook, che resta un volano di traffico ma, dal mio punto di vista anche una terribile voragine in cui ho perso tonnellate di pensieri che avrei fatto meglio a raccogliere anche disordinatamente su un blog o su carta), e il primo spunto di conversazione è già interessante (la conversazione, come di consueto, è pubblica)
Raffaella mi fa notare: «Da tempo sono state sostituite le notizie con le narrazioni tossiche…. si potrà mai tornare indietro?»
Ha ragione lei, non c’è dubbio. Se fino a poco tempo fa le narrazioni tossiche riguardavano macrotemi, ora, grandi e piccole, importanti e insignificanti, sembrano impadronirsi letteralmente del mondo dell’informazione e della comunicazione. In effetti, è la naturale evoluzione di quel che scrivevo quando parlavo del giornalismo che tenta di suicidarsi online.
Io credo che si possa tornare indietro. O meglio, che si possa guardare avanti pensando a un modo nuovo per uscire da questo pantano. Ma non è una cosa facile: ci vuole un pensiero di lungo periodo.
(continua)
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