Non è ancora finito questo Festival di Sanremo e sono già iniziati i primi articoli su Sanremo 2018, Sanremo 2019 e compagnia cantante (e ci si ferma lì giusto perché il contratti di Carlo Conti con la Rai scade a giugno del 2019 e speculare oltre sarebbe semplicemente ridicolo, altrimenti si andrebbe anche oltre). Succede perché si comincia ad imparare, fra le altre cose, che sul web bisogna giocare d’anticipo e che se ti fai un buon piano editoriale sul lungo periodo, allora magari raccogli qualche risultato dai motori di ricerca e ti sei convinto che è così che si fa SEO. Come se poi il web e la realtà fossero separati e come se la SEO non fosse una disciplina anche umanistica.
Amato o odiato, snobbato, criticato o non visto, per una buona settimanella il Festival catalizza l’attenzione mediatica di un grosso pezzo d’Italia e – soprattutto – degli addetti ai lavori (comunicazione, informazione). In scaletta sono previste, dal punto di vista giornalistico: anticipazioni – quasi tutte smentite – su chi ci sarà, critiche feroci sulle canzoni, i big che non vanno al Festival in gara, i giovani con poca visibilità, polemiche sui cachet di conduttori e ospiti. Fuoco di fila se gli ascolti Auditel vanno male. Gossip. Interrogazioni parlamentari. Politici che fanno passerella. Da qualche tempo a questa parte, allarme sicurezza. Fiera delle vanità e dei wannabe. Tante parole.
Da quando c’è Carlo Conti una fetta di questa scaletta informativa è stata disinnescata, perché il suo team ha lavorato anche di previsione e prevenzione e ha puntualmente anticipato e disinnescato sul nascere – invece di doverli rintuzzare – attacchi e polemiche. La mossa del 2017 di portare all’Ariston Maria De Filippi è stata – spiegavo per gli abbonati di Wolf – la ciliegina sulla torta per confezionare il terzo Festival consecutivo di successo. Trasformandolo nel DNA, rendendolo un crossover di tutte le realtà musicali mainstream italiane, a partire, ovviamente, dai talent show (l’indie, purtroppo, non trova posto da quelle parti, qualunque cosa si intenda per indie), con un cast che ammicca a tutte le fasce d’età e un prodotto televisivo che è pensato prima di tutto per funzionare e macinare numeri sull’Auditel. Un metro quantitativo e non qualitativo, ma l’unico metro che conta (a meno che uno non abbia la dignità e l’onestà intellettuale di criticare e giudicare un prodotto televisivo sempre prima dell’Auditel).
Come una buona fetta di persone in Italia, ho una serie di ricordi legati al Festival di Sanremo, fin dal 2002 o giù di lì.
Come molti altri di persone in Italia, ho una serie di ricordi legati al Festival di Sanremo, che partono dall’infanzia e arrivano fino a oggi.
Ma non sono solo ricordi canori. Almeno dal 2002 sono anche ricordi lavorativi. La prima volta in cui ho messo insieme televisione e web è stata nel 2004. In quell’anno aprivo un blog che si chiamava “Perché Sanremo è Sanremo” ed era raggiungibile all’indirizzo http://sanremo.splinder.com. Tredici anni dopo, Splinder non esiste più. È stata la prima piattaforma per blog in Italia, fondata nel 2001. Nel 2010 dichiarava di ospitare oltre 400mila blog. Nel 2012 è stata chiusa.
Un po’ incautamente, non ho mai salvato l’archivio di quel blog. Era collettivo e ad orologeria. Nel senso che ci poteva scrivere chiunque ne facesse richiesta, si apriva il giorno prima del Festival di Sanremo, si chiudeva il giorno dopo. È anche possibile – ancorché improbabile – che qualcuno lo abbia salvato. Ci divertivamo, era fatto in totale incoscienza e senza la consapevolezza del fatto che prima o poi per qualcuno fare il blog sarebbe diventato un lavoro, che sarebbe stata la naturale conseguenza del mio essere anche giornalista, che per molti poi sarebbe diventato content marketing. Qualcuno, fra i più sgamati, lo sapeva già. Io no. Eppure avevamo già allora talpe in giro per il Festival che ci mandavano indiscrezioni che facevano impazzire i giornali e i giornalisti, come se non ci fosse già la Gialappa’s in radio a violare sistematicamente l’embargo(*) (dieci anni dopo, poi, l’embargo l’avrebbe violato nientemeno che il Corriere della Sera. Non un blog qualsiasi).
Quell’anno, il 2004, conduceva Simona Ventura e dirigeva artisticamente Tony Renis: fu un mezzo disastro per Sanremo, anche perché Mediaset controprogrammava sul serio e per la prima volta un programma televisivo avrebbe superato il Festival in ascolti (si trattava del Grande Fratello condotto da Barbara d’Urso). Fra le tante cose diverse che ho fatto in questi 38 anni e passa di esistenza, quell’anno stavo frequentando la Scuola di Televisione RTI (al suo secondo anno) nella classe dei registi. Avevo già lavorato a vario titolo in televisione (Donne e Viaggi come tuttofare – un programma di Rete4 – una lunga e formativa gavetta a Telegenova, un paio di Sanremo già fatti come operatore proprio per Telegenova, altri programmi televisivi con la Betacam in spalla fra Rai e Mediaset) e affrontavo un’avventura che mi rendeva molto speranzoso e che in effetti ha dato una serie di frutti, anche se per motivi che all’epoca non sapevo capire e che spesso hanno poco a che fare con le reali capacità lavorative di una persona e molto con le doti relazionali. Sto cercando di migliorare in queste ultime, soprattutto.
Nel 2004 c’era anche il Daveblog. Ho scoperto qualche giorno fa, con un po’ di nostalgia, che è chiuso. E Dave si può leggere solo su Twitter.
Nel 2005 tornavo a Sanremo da lavoratore. Conduceva Bonolis. Io, con la mia telecamera, una SONY – comprata grazie a un incontro in una chat, come accennavo qui. Senza quell’incontro non avrei mai potuto permettermela – e il mio portatile, un Acer su cui era installato Premiere, giravo e montavo disperatamente un videodiario giornaliero di un gruppo che gareggiava tra i giovani: La differenza. Disperatamente perché i portatili dell’epoca non erano fatti per reggere un carico di lavoro folle. Mi vennero in supporto anche due colleghi che lavoravano a Telegenova, perché non era gestibile da solo: avevo commesso un errore tipico, che avrei ripetuto più volte. Quello di sopravvalutare la quantità di cose che potevo fare. Bonolis macinava successi sul palco dell’Ariston, il blog sanremese su splinder macinava altri autori e divertissement. Io, nel mio albergo, montavo disperatamente. L’albergo era uno di quelli in cui dormivano anche alcuni cantanti: spesso tornavano a bersi qualcosa dopo il Festival o dopo la loro esibizione e vedevano un tizio che lavorava su un Acer fino alle 2, le 3 di notte e poi incrociava le dita sperando che il wi-fi funzionasse. Caricavo con la porta firewire della Sony il girato su cassette miniDV (un’ora per caricare un’ora), poi montavo, comprimevo e uploadavo. All’epoca la connessione si pagava all’ora e costava cifre assurde (il mio ricordo è di almeno 10 euro l’ora. Forse ingigantisco, forse no)! Tanto che dovetti farmi approvare un budget aggiuntivo.
Dove andava a finire il materiale video? Sui telefonini!
Il fatto che stiamo parlando di un’era geologica fa lo dimostra non solo la tecnologia che avevo a disposizione, ma anche questo comunicato stampa ufficiale. Lo chiamavamo telefonino. E microbrowsing. E di lì a poco li avremmo chiamati videofonini.
Non ho mai saputo pensare a fare bene personal branding: lo dimostra il fatto che non avessi chiesto di essere nominato nel comunicato ufficiale. E infatti, eccomi lì, bello invisibile anche se di fatto stavo facendo una cosa che in Italia facevano pochissimi, nel 2004. Forse nessuno.
Negli anni a venire i ricordi si mescolano, ma so che non avrei più perso un solo Sanremo sul posto. Nel frattempo ero stato chiamato a fondare TvBlog e iniziavo una nuova avventura parallela. Il blog su splinder avrebbe continuato ad esistere, ma tutte le energie, gli sforzi, l’amore per lo scrivere e per il mio mestiere – qualunque esso sia – erano concentrati su quel piccolo sito che cresceva e cresceva e diventava quasi mainstream, da corsaro che era.
Nel 2006 si consumava il disastro-Panariello (e lo scapezzolamento di Ilary Blasi, che però non aveva lo stesso fascino di quello di Patsy Kensit: era il 1987 e io ho scritto, ricordandolo, «Considerato il fatto che negli anni ’80 non esisteva YouPorn, l’evento segna eroticamente un’intera generazione. Forse due»). Un’edizione tremenda. Vince Povia con la canzone del piccione. Poi i Nomadi, quindi Essere una donna (Anna Tatangelo che, grazie alla coppia autoriale D’Alessio-Mogol, sfodera la drammatica rima baciata Essere una donna / non vuol dir riempire solo una minigonna).
All’epoca Dada voleva ancora fare le videointerviste ai cantanti per i videofonini. Quindi ero lì per Dada ma anche per TvBlog, in modalità one man band (che significa, a Sanremo: prendi appuntamenti, telefona, rincorri, gira per hotel, gira le interviste in alberghi scuri, vai a casa, perché l’albergo diventa casa, chiuditi in stanza, visto che nel frattempo la wi-fi arriva nelle stanze, monta, comprimi, uploada). Facevo anche un videodiario personale per Teleblogo, che era il primo esperimento serio di videoblog quotidiano in rete: lo facevamo Fulvio Nebbia ed io, al principio, con un po’ di amici e colleghi a supporto, poi. La conduzione che per molte puntate era affidata a Serena Marongiu, poi Manuela Grippi per una versione torinese. Era troppo presto. Oggi i video quotidiani per fare engagement sono una realtà. Ne facemmo circa 150 puntate. Alcune si trovano ancora su Youtube e su archive.org.
Quello del 2007 è il Sanremo che ricordo con maggior affetto.
C’era Pippo Baudo a condurre, in coppia con Michelle Hunziker (prendere volti Mediaset per l’Ariston? Si faceva anche 10 anni fa! Anche 20, visto che nel 1997 lo conduceva Mike Bongiorno, per dire). Il Festival fu un successo. E mi regalò una grande gioia personale. Lavoravo a Scherzi a Parte come assistente alla regia di Duccio Forzano. Da un annetto avevo preso parte al progetto di Simone Cristicchi, dirigendo, girando e montando il documentario Dall’altra parte del cancello.
Da quel documentario, dal lungo viaggio che Simone e io (e altri amici) facemmo fra ex manicomi e CIM, dall’esperienza di Simone che già aveva uno spettacolo che si intitolava Centro d’Igiene Mentale (e che poi sarebbe diventato un libro), nacque Ti regalerò una rosa. Canzone splendida. Baudo capì il potenziale del pezzo e lo prese in gara – Simone aveva già mostrato le sue doti con Vorrei cantare come Biagio Antonacci, pezzo frainteso dai più, come capita spesso coi tormentoni ironici e metatestuali. Cristicchi sovvertì tutti i pronostici. Sulla sua sedia gialla, si portò a casa i premi della critica delle due sale stampa e la vittoria finale. Un en plein rarissimo.
Nel frattempo, con il socio e amico di sempre Fulvio Nebbia, stavo facendo nascere iK Produzioni. Insieme girammo il playback del videoclip di Simone (con Gianni Giannelli alla fotografia, Bruno Bonanno, Michela Sessa, Alessandro Zangrossi come troupe). Fulvio e Michela montarono il playback e il mio girato del documentario e ne venne fuori il videoclip di Ti regalerò una rosa, che finì anche in rotazione su MTV con grande gioia di noi tutti. E che completò il giro di premi di quel brano così ispirato divenendo il miglior videoclip italiano del 2007.
Da qualche parte conservo una foto con Simone e la palma del Festivàl: quella notte a Sanremo a festeggiare con il vincitore non me la dimenticherò mai, così come non mi dimenticherò mai il Tv Sorrisi e Canzoni con la foto di gruppo da cui ero tagliato – chi è questo? – e il fatto che non fossi citato come regista del documentario. Pazienza: da quel sodalizio vennero fuori le Lettere dal manicomio, con lo stesso Simone, con Gigi Proietti, Claudia Pandolfi e uno strepitoso Luca Lionello.
Produceva iK Produzioni per la regia del sottoscritto. Anche in quell’occasione, diciamo così, non brillai per capacità di personal branding. La storia si ripete e le persone non cambiano.
Baudo dilapidò il suo successo l’anno successivo, con un’edizione del Festival disastrosa. Che avrebbe aperto le porte al Bonolis Bis del 2009. Quell’anno Piolo – per quelli della generazione Bim Bum Bam questo è e rimarrà sempre –portò (l’abbiamo già detto, che non si inventa niente, sì?) Maria De Filippi sul palco dell’Ariston per la finale. Vinceva, guarda un po’, un dimenticabilissimo Marco Carta (reduce dal successone di Amici), con l’improbabile podio completato da Povia (La canzone si intitolava Luca era gay. Roba da far tremare i polsi) e Sal Da Vinci (Non riesco a farti innamorare mai di me, idem come sopra). Chi dice che oggi, musicalmente, il Festival vale poco forse dovrebbe ricordarsi quel 2009.
Nel frattempo di Festival non me ne perdevo più uno, come dicevo. Ero lì anche quell’anno, come al solito. Questa volta con l’amico Iacopo De Gregori (il cognome musicale non indica parentele). A girare per alberghi e montare video. Anche surreali e nonsense, come questo.
Con Iacopo condivido ricordi che oggi si riassumerebbero con hashtag. Tipo #dashaastafieva o #mevojoammazzà. Quest’ultima vale lo spazio di un altro ricordo. Iacopo e io siamo davanti a un pub. Esce Stefano Di Battista. Si mette accanto a noi, si accende una sigaretta. Vede due giovini che rincorrono Alfonso Signorini e la sosia di Liz Taylor (a Sanremo, se non lo sai, è il trionfo anche dei social), li ferma e dice: «Ci facciamo una foto»? Di Battista ci guarda e dice: «Me vojo ammazzà».
Il tempo va avanti veloce: 2010, 2011, 2012. Eccolo, è l’anno in cui divento anche direttore di Blogo.
Con il tempo, TvBlog si ritaglia lo spazio che merita. Prima gli accrediti al Palafiori, poi, finalmente, la sala stampa dell’Ariston. Una squadra di professionisti sempre più nutrita e agguerrita a seguire i fatti sanremesi. Ma questo è un pezzo di storia che è più facile ricostruire sul web contemporaneo, perché è ancora lì.
Con il fastforward tenuto premuto e velocissimo, arriviamo agli ultimi due anni. Non perché nel frattempo non ci siano state cose degne di nota. Dal 2013 al 2016 maciniamo lavoro, lavoro e ancora lavoro. Il 2016 è “boom”: per la prima volta il progetto di squadra di TvBlog approda anche su tre programmi televisivi Rai durante il Festival (vengo invitato a Storie vere e a La Vita in diretta e io, che sono notoriamente schivo e che il personal branding ancora non l’ho imparato, tutto sommato mi diverto anche. Non vado lì per fare il wannabe, non ho velleità di conduzione, voglio solo fare il mio lavoro, dire quel che penso come lo penso, non sono felice di andare in televisione e non ci vado per il gusto di andarci. Ci vado perché ho capito che fa bene al nostro lavoro. Vari collaboratori vanno al Dopofestival, con il medesimo spirito di gioco di squadra). Con Diego Odello, Fulvio Nebbia, Iacopo De Gregori, Grazia Sambruna, Giulio Pasqui ci inventiamo cose e cose e cose anche se non ci inventiamo niente (il claim di Teleblogo era: «Non abbiamo inventato niente, ma siamo stati i primi a farlo»). Il SanremoFake, per esempio. Notizie veramente false (molto prima che si parlasse di fake news). È come se in questo pezzo di vita che racconto qui le persone che mi circondano e il sottoscritto si fossero divertiti a fare cose prima. Il che, molto spesso, voleva dire farle fuori tempo, paradossalmente.
Nel frattempo, tutta la straordinaria squadra di intrattenimento di Blogo lavorava per crescere e migliorare e noi, a Sanremo, eravamo solo l’avamposto in loco di una macchina organizzata, rapida, precisa: fra gli storici e chi si aggiunge, è una redazione d’altissimo profilo. In ordine sparso: Marco “Hit”, Giorgia Iovane, Massimo Galanto, Sebastiano Cascone, Alberto Graziola, Arianna Galati, Arianna Ascione (che si fa anche due Sanremo da inviata), Fabio Traversa, Luciano Traversa, Daniela Bello, Fabio Morasca, Diego Testa, Paolo Sutera, Massimiliano Scalas, Riccardo Cristilli.
I tempi erano cambiati: nato AirB&B, così a Sanremo si passa da alberghi ad appartamenti. Ma tutto il resto non cambia: il lavoro è sempre ossessivo, maniacale, lungo, senza soste, sfibrante. Come nel 2004. Anche se adesso fai le foto anche con lo smartphone, puoi andare live su Facebook, è cambiato tutto e la wi-fi è gratis o non ti serve perché ti connetti in tethering.
Nella storia che interessa a tutti, intanto, Carlo Conti migliora sé stesso con un lavoro di squadra che dimostra che si può aver successo anche per due Festival di fila e si mette a preparare anche il 2017.
Ed eccolo qui, il 2017. Mentre scrivo, le quattro serate del Festival di Sanremo hanno totalizzato una media di 10.720mila telespettatori per uno share del 48,89%. Per superare gli 11 milioni di media dovrebbe farne 13 stasera, il che non è del tutto impossibile.
Alcune questioni di vita che non vale troppo la pena di mettere nero su bianco mi avrebbero tenuto lontano dal Festival per la prima volta da qualcosa come 15 anni. Invece, siccome Sanremo chiama, ci sono stato. Per un giorno e a commentare in tv, da giornalista, a Storie vere. A parlar di prodotto televisivo con metafore calcistiche, di solipsismo e smanate sugli smartphone, di empatia e contemporaneità, di Mika che attraversa un decennio e parte da un social network che doveva cambiare il mondo e che oggi non c’è più (MySpace) e altre storie (anche se non ho avuto il tempo di parlare dell’acuto a manovella che accomuna Al Bano a Kekko dei Modà).
Dal 2002 a oggi è passato tanto tempo, sia per me sia per il Festival. Forse ho imparato un po’ a fare anche il personal branding, ma non ne sono del tutto sicuro. Perché non so applicare a me stesso il Guru Business Model e perché il personal branding, per me, non può essere separato dai contenuti, dalla coerenza, dall’essere intellettualmente onesti, dalla sincerità, dal dire ciò che si pensa e dal fare ciò che si dice.
Il Festival è rimasto quel che è: un prodotto televisivo che però è anche una vetrina per la canzone italiana. Un’occasione di confronto, di analisi dei media, di comunicazione, di informazione, una palestra per aspiranti giornalisti, un circo per wannabe, un carrozzone che a volte si deve prendere sul serio e a volte no, un posto dove devi poter dare le spalle alla telecamera come fa Maria De Filippi, un luogo dove ti fai la colazione ligure con cappuccino e focaccia, un posto dove mi piace tornare.
(*) Per i non addetti ai lavori: l’embargo è quella cosa anacronistica che si richiede ai giornalisti che lavorano a un evento in diretta in cui è prevista una gara con giuria. Per consentire ai giornalisti di prepararsi, si comunica loro il vincitore o il podio. E si chiede di non violare l’embargo. In epoca di social network non serve a niente. E infatti nel 2016, saggiamente, in sala stampa non ci dissero proprio nulla.
P.S.: qualche anno fa avevo il sogno di lavorarci dentro, al Festival. Cioè, proprio al prodotto. Chissà, forse mi piacerebbe ancora.
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