In questo bellissimo libro che si intitola Atlante delle emozioni umane (*) di Tiffany Watt Smith ho scoperto molte cose che proviamo o non proviamo, che provavamo e che forse un giorno proveremo: ci sono così tante sfumature, nelle nostre emozioni, che a volte diventa difficile distinguerle, capire, lasciarle fluire.
Per esempio: è meglio sperare o essere spensierati?
Il maestro Mario Monicelli non avrebbe avuto dubbi:
«La speranza è una trappola».
Me lo ricordo bene, quel giorno che ho avuto la fortuna immensa di dirigere una sua intervista che poi è diventato uno strano documentario. Lo puoi persino vedere su Rai Play. Se ti sembra troppo, pensare che la speranza sia una trap
pola, sappi che il benefit finding non funziona sempre. In uno studio citato nell’Atlante, per esempio, si spiega che cercare di trovare il buono in una diagnosi di malattia grave può aiutare i parenti dei malati ma potrebbe alienare i pazienti.
La spensieratezza è un’altra cosa.
Invece di mettersi a cercare il lato positivo di tutto – cosa a dire il vero stressante, almeno per me – essere spensierati vuol dire saper fare meno. Dedicarsi al dolce far niente. Concentrarsi sulle piccole cose, sui dettagli, cercare di prestare attenzione all’attimo e a quel che si sta vivendo per goderlo appieno.
L’esercizio, dopo un po’, funziona e ti ritrovi a farlo quando meno te lo aspetti, senza alcuno sforzo e, spoprattutto, senza stress.
Un calcetto notturno di tua figlia che è riuscita a sgattaiolare nel lettone o un cane che abbaia, il treno in ritardo con le persone che aspettano, la coda in macchina, il chiacchiericcio dei pendolari che non senti più grazie alle cuffie antirumore ma che puoi tornare a sentire quando vuoi. Dettagli, particolari, un piccolo flusso che ci arriva volenti o nolenti ma che possiamo decidere di accendere o spegnere quando vogliamo, almeno dal punto di vista della consapevolezza.
Potremmo addirittura allenarci a non pensare. Ok, almeno a non pensare troppo.
Se devo scegliere tra chi spera e chi è spensierato non ho dubbi.
Le aziende a cui faccio consulenza le scopro subito: se sperano, hanno già fallito e infatti non ci capiamo e non ci troviamo. Perché di solito sperano di non aver paura e questo significa che ne hanno tantissima. E le aziende sono fatte di persone, che provano emozioni. Quelle che sperano, di solito, sono anche predisposte a pre-occuparsi. Come diceva la mia psicoterapeuta, pre-occuparsi non serve a niente: meglio occuparsi di quello che si può e si deve gestire e non perdere tempo ad anticipare tutto quel che si può. Meglio prevedere o prevenire, al massimo. Pre-occuparsi non serve a niente. E, in alternativa, visto che non si può essere sempre occupati, trovare un diversivo. La spensieratezza, appunto. Per Watt Smith, l’immagine più forte che abbiamo nell’iconografia occidentale della spensieratezza è il ballo di Ginger Rogers e Fred Astaire che ballano il tip tap. Per esempio, in Carefree. Che, guarda un po’, significa proprio spensieratezza (anche se il titolo del film, in italiano, è diventato un imperdonabile “Girandola”).
Quando mi scopro a non pensare, alla fine ho sempre qualcosa da annotare da qualche parte: un’idea, una proposta, una possibile soluzione a un problema. Di solito sono cose che mi raggiungono mentre porto a spasso Lucky o mentre sono con i miei figli, quasi sempre quando sono completamente disconnesso dal flusso e, di consegueza, dal web.
Ecco perché se mi metti sotto pressione non funziono. Ecco perché penso che l’hackaton per progettare sia una follia (funzionava quando era un evento per mettere insieme sviluppatori a scrivere codice con uno scopo. Non può funzionare per farci venire idee, le idee non ti vengono con un algoritmo).
Sembrerà poco, ma ti auguro che l’anno che verrà sia spensierato.
Non è una speranza. È un invito.
(*) Il link rimanda al progetto di affiliazione di Amazon UE.
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