La SEO non è una disciplina per nerd e smanettoni. Non è una gara di posizionamento di un sito data una lista di keyword. Non è nemmeno un modo per fare traffico facile sul proprio sito. Non è fatta di trucchi (se mai di tecnica e di strategia) o di mezzucci.
La SEO è molto altro. È, prima di tutto, comprensione dell’esperienza di ricerca di informazioni da parte delle persone.
Quando mi interessa un argomento o, più in generale, quando ho bisogno di informazioni qui e ora (cioè, in altre parole, ho un bisogno istantaneo), allora, se sono una persona abituata a utilizzare internet, è probabile che farò una ricerca su Google (sarebbe bello dire sui motori di ricerca, ma per il nostro mercato di riferimento è il prodotto di Alphabet a dominare il mondo delle Search, quindi è praticamente inutile addentrarci in altre disamine. Quest’affermazione non è vera in tutti i luoghi e in tutte le lingue del mondo, chiaramente).
E che, con quella ricerca, comunicherò a Google non solo una keyword più o meno lunga, ma anche un’intenzione, che varia a seconda delle parole che scrivo e anche a seconda dello strumento che utilizzo.
Se scrivo “taxi” usando il mio smartphone è molto probabile che io voglia poter raggiungere o prenotare un taxi in quel momento in quel luogo, per esempio.
Google funziona bene se riesce a interpretare correttamente la tua intenzione, la tua query intention, e a darti come risposta i migliori risultati possibili per te.
Se prendiamo questa affermazione come linea guida per progettare un eventuale piano editoriale che tenga conto anche della SEO – anche, perché l’unico piano editoriale sensato oggi è il piano editoriale integrato, che prevede di utilizzare tutte le leve possibili e immaginabili per sfruttare al meglio i propri contenuti – avremo delle informazioni molto importanti, che possiamo razionalizzare rispondendo a una serie di domande.
Quali contenuti sono in grado di produrre?
Per quali lettori?
I miei lettori hanno dei bisogni istantanei?
Se sì, quali possono essere?
Come posso scrivere e organizzare i miei contenuti in modo che rispondano ai bisogni istantanei dei lettori che voglio portare sul mio sito?
Ecco che, improvvisamente, si supera il concetto di “posizionamento” e si comincia a ragionare sul concetto di esperienza.
Ecco che la SEO diventa uno strumento relazionale. Serve per porre in collegamento i miei contenuti con i miei lettori sfruttando i motori di ricerca.
Imparare a fare SEO vuol dire imparare a capire come i miei lettori potenziali cercano su Google gli argomenti di cui mi occupo. Ecco che, improvvisamente, l’acronimo prende vita e si trasforma in una disciplina che, oltre ad avere una serie di tecnicismi e a richiedere alcune basi informatiche e di conoscenza dell’information retrivial e del funzionamento di un motore di ricerca in sede di progettazione di un sito, si trasforma anche in una disciplina fortemente umanistica e orientata alla comprensione delle persone reali con le quali vogliamo interfacciarci.
[Nota: queste considerazioni sono propedeutiche al numero 162 di Wolf e ad una serie di concetti che sviluppo nell’ambito del mio progetto dedicato al giornalismo SEO]
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