Sto lavorando alla seconda stesura di DCM – Dal giornalismo al digital content management.
La notizia è bella da molti punti di vista. Il primo è che significa che il libro è stato apprezzato. Il secondo è che ho l’occasione di fare quel che non avevo mai fatto prima d’ora su un lavoro così lungo. Rileggermi per revisionare e aggiornare.
Il mezzo cartaceo fa sentire tutta la sua pesantezza. È forzatamente obsolescente e quindi lo sforzo che ho fatto e che faccio per non renderlo tale è molto forte, soprattutto nell’individuazione di un metodo che va oltre dati e numeri. Lo scrivevo già nella prima edizione
Questo libro invecchia mentre viene scritto e, a maggior ragione, invecchia mentre viene letto. È il paradosso del dover fissare su carta una serie di concetti che riguardano un ecosistema fluido e in costante cambiamento come quello della rete e, al suo interno, come quello della professione giornalistica, una delle più interessate dal cambiamento in corso. Chi dice che il mestiere del giornalista è cambiato sbaglia.
La locuzione corretta è: sta cambiando.
Una delle cose che ho cambiato da un’edizione all’altra potrebbe anche sembrarti una stupidaggine. Ma è, invece, una dichiarazione d’intenti molto importante.
Ho eliminato completamente la parola utente (o utenti) dal mio libro.
Ho fatto così. Le ho cercate con il “cerca” di Open Office a e mi sono sforzato di usare sinonimi o di abolire la parola semplificando la frase.
Si tratta di una dichiarazione di intenti ben precisa, che deriva dalla splendida contaminazione che il mio lavoro ha avuto, nel frattempo, con il lavoro di Mafe de Baggis e Filippo Pretolani, cui va, sostanzialmente, il merito di questa operazione di radicale modifica.
Perché non è un vezzo?
Perché i picchi di traffico sul tuo sito sono persone (a meno che tu non stia simulando il traffico permentire a un cliente. Ma in quel caso non sei un mio lettore).
Perché i click sono fatti da persone (idem come sopra), così come le ricerche sui motori di ricerca, le ricondivisioni sui social, le interazioni con le mie pagine, con la mia vita, con la tua azienda, con i nostri contenuti.
Su Wolf, Mafe de Baggis ha scritto:
«C’è una guerra in cui non sono sola, ma comunque molto, molto in minoranza: quella contro la parola utente usata genericamente. È una guerra fatta da almeno tre battaglie:
– contro la denominazione: l’utenza è l’uso passivo di un servizio semplice (il gas, la luce, il bancomat, l’home banking)
– contro la connotazione: un utente, essendo passivo, non è libero e deve agire secondo percorsi progettati (da me)
– contro la filosofia: uno che usa non crea».
In tre punti una sintesi molto efficace di tutto quel che abbiamo fatto e pensato di sbagliato fino a questo momento se abbiamo continuato a chiamare “utenti” le “persone”. Io ho smesso.
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